RIVOLUZIONE MODULARE
Adattabilità, mobilità, sostenibilità sono i principi-guida dell’architetto americano Jennifer Siegal, vincitrice di ArcVision Women and Architecture 2016 promosso da Italcementi per premiare ‘visionarie’ in tutto il mondo
«È evidente che la tecnologia ha cambiato radicalmente il nostro modo di vivere, di vedere il mondo, di interagire con persone e cose. Così come che la costruzione degli edifici e la progettazione degli spazi siano legati a idee antiquate che devono essere aggiornate a un quotidiano connesso e all’economia della condivisione. Adattabilità, mobilità, sostenibilità sono indispensabili per disegnare le abitazioni del prossimo futuro». A parlare è Jennifer Siegal, 50 anni, californiana che col suo OMD (Office of Mobile Design) progetta case belle, responsabili e sostenibili secondo i concetti di portabilità, adattamento e riutilizzo. «Ma l’idea non è nuova», dice l’architetto californiano.«Nel 1910 in Italia, i Futuristi Marinetti e Sant’Elia teorizzavano un’architettura non più monumentale ma transitoria, caratterizzata da velocità e movimento, negli anni ’60 e ‘70 il gruppo Archigram a Londra, i metabolisti in Giappone e AntFarm in America lavoravano all’idea di abitazioni mobili, gonfiabili, trasportabili contro l’idea di un’architettura pesante e statica che non si adattava più alle esigenze dell’uomo e della società. Negli anni ’90 l’avvento delle nuove tecnologie e il cambiamento della comunicazione mi hanno spinto a trasformare teorie e visioni in realtà».
I tempi sono quindi maturi per un’architettura sociale, più umana, bella e sostenibile?
«Grazie al fatto che le donne hanno raggiunto importanti riconoscimenti e posizioni di potere dando voce al loro pensiero e visione del mondo, sta prendendo forma un modo di intendere il lavoro, la famiglia, le relazioni, l’economia che tratteggia il disegno di una società, e di un’architettura differenti. Il ruolo dell’abitazione sta cambiando. Viviamo in un mondo “responsive”, abbiamo a diposizione materiali intelligenti, riciclabili o rinnovabili, che si adattano alle condizioni ambientali. Strumenti e tecnologie, come la stampa 3D, influiscono sulla semplificazione e l’accessibilità dei processi produttivi. Non abbiamo più bisogno di vivere in spazi grandi perché le nostre memorie sono immagazzinate online e la tecnologia ci permette di lavorare ovunque. Ha senso pensare che anche gli edifici diventino reattivi e adattivi. L’architettura in cui viviamo non è quella del XXI secolo. Non sto parlando di radere al suolo e ricostruire da zero ma approcciare diversamente la costruzione di nuovi edifici, la questione della proprietà privata e dello spazio pubblico. L’idea di un’economia sociale basata sulla condivisione diminuisce costi e bisogno di spazio; gli edifici che costruisco, sfruttando il posizionamento sul territorio e la razionalizzazione degli spazi, hanno risparmi elevati rispetto a quelli convenzionali.
La casa che ho appena terminato a Venice, la mia, è una struttura verticale che è stata trasportata da una gru ed è perfetta per le città ad alta densità di popolazione. A Milano, per esempio, si potrebbe costruire sui tetti, con il solo impiego di una gru si potrebbero creare abitazioni senza ricorrere all’occupazione di nuovi spazi. I vecchi edifici convivrebbero con i nuovi». Quanto ha influito essere donna nel definire questa idea di architettura e cosa significa per lei questo riconoscimento adesso?
«Non è un grande ego a guidarmi ma il rispetto per le opinioni degli altri anche quando sono sbagliate. Tattilità e materia hanno per me grande importanza come la convinzione che i grandi cambiamenti nell’architettura coincidono con l’avvento di nuove tecnologie e nuovi materiali. Avere ricevuto l’ArcVision Prize nel momento in cui Hillary Clinton potrebbe essere il primo presidente donna della storia e Zaha Hadid ci ha lasciati, cambiando radicalmente il modo di pensare e fare architettura, ha un grande significato.”
Sabrina Ciofi